Cyberbullismo : analisi del fenomeno secondo Ilaria Caprioglio
A partire dagli anni Settanta, in seguito a un duplice suicidio di due giovani in Norvegia, si iniziò a studiare il fenomeno del bullismo, caratterizzato dalla presenza di tre elementi:
- l’aggressione fisica o psicologica,
- la sussistenza della ripetizione dell’azione
- e lo squilibrio di potere fisico e sociale fra vittima e carnefice.
Ai nostri giorni i bulli possono passare dalla tradizionale modalità offline a quella online.
Gli adulti, tuttavia, continuano a ritenere che l’approccio dei digital kids con le tecnologie sia corretto e consapevole: si tratta di un’idea falsa e pericolosa che ha contribuito a deresponsabilizzare genitori e insegnanti dal ruolo di guide.
L’opinione pubblica ha preferito ravvisare nel demone digitale un comodo capro espiatorio che ha permesso di alleggerire le coscienze, assopite sotto la coltre del mito del nativo digitale.
Il problema del bullismo digitale nasce fuori dal web, si genera a causa della complessità dei rapporti che sempre più spesso vengono affrontati con superficialità e scarsa attenzione da parte del mondo adulto, il quale preferisce addossare la colpa alla tecnologia piuttosto che assumersi la responsabilità di questo crescente analfabetismo emotivo.
La sfida per noi adulti è rappresentata dal provare a intercettare e decodificare quei segnali di disagio giovanile che online diventano visibili in quanto messi in scena attraverso il dramma, una sorta di rappresentazione dei conflitti interpersonali che gli adolescenti faticano a gestire.
Le vittime del cyberbullismo
Le prime vittime di casi definiti ‘cyberbullismo’ sono state ragazze come tante che online cercavano la propria identità, il consenso, l’appartenenza al gruppo, la risposta a sofferenze e a solitudini, mentre al contrario hanno trovato derisione e ferocia, una gogna mediatica che non sono riuscite a sopportare e le ha indotte a togliersi la vita.
I rischi maggiori derivano dall’anonimato di piattaforme, come Ask for me (Ask.fm), che scatena l’arroganza e l’aggressività, anche degli adulti, che online si lasciano andare all’incitamento all’odio, globalmente definito hate speech, capace di trasformare le parole in armi micidiali di intolleranza verso una persona o un gruppo razziale, religioso, etnico, di genere o di orientamento sessuale.
Sdoganato anche dal mondo adulto, quello al quale le nuove generazioni dovrebbero guadare come modello a cui ispirarsi, l’odio scorre sul web e spaventa i giovani che, sovente, sono vittime e carnefici di questa escalation di aggressioni verbali che prende di mira soprattutto coloro che sono percepiti diversi per l’aspetto fisico, l’orientamento sessuale o la nazionalità.
Si tratta di odio che scaturisce dalla superficialità e dalla velocità con cui si intrecciano relazioni virtuali, ma anche da una sorta di analfabetismo emotivo che il web agevola favorendo contatti fra persone che non si conoscono e non si riconosco e per questo si detestano, prescindendo a priori da qualsiasi sforzo dialettico volto ad avvicinarsi, comprendersi, arricchirsi attraverso l’altrui pensiero.
La legge n. 71 del 2017 e il ruolo della famiglia
Dalla tragedia di Carolina Picchio ha mosso i primi passi l’attuale legge n. 71 del 29 maggio 2017 a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo : si tratta di una legge valida in quanto punta, soprattutto, sulla prevenzione e il contrasto del fenomeno in ambito scolastico.
Tuttavia la necessità di legiferare su simili condotte è indice di come la società abbia perso un importantissimo bagaglio valoriale che nessuna sanzione potrà ricomporre.
Sarebbe importante, invece, avere il coraggio di educare noi stessi e i giovani alla pausa, al fine di rintracciare il tempo necessario per costruire relazioni che permettano ai nostri figli di avere accanto qualcuno con cui meditare sui propri desideri, sulle proprie insicurezze, sulle proprie azioni; senza sentirsi soli.
La famiglia, con il sostegno della scuola, dovrebbe aiutare i giovani a rispettare se stessi e gli altri, accettando le proprie e le altrui fragilità e accogliendo i rispettivi fallimenti; solo in questo modo le relazioni interpersonali che i nostri figli intrecciano online non rischiano di diventare trappole emotive nelle quali il soggetto più debole diventa la preda.
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